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Castellino del Biferno

 
Di Castellino sarebbe stato bello raccontare a proposito di una certa struttura turistica un po’ fuori paese, che pare essere fornita di ogni genere di conforto, dalla piscina alle pizze, dalle sdraio ai prati assolati, alle querce grandiose. Purtroppo io non ci sono mai stato e mi toccherebbe riferire di storie che non ho vissuto in prima persona.
Però tra i possedimenti di Castellino del Biferno vi è un’altra contrada, ancora più speciale, visto che viene chiamata Castellino Nuovo, quasi si trattasse di un clone dello stesso paese, ma meglio compiuto. In effetti la dislocazione è assai felice, essendo su un pianoro naturale di grandi dimensioni, in mezzo al quale fu deciso, durante il fascismo, di realizzare un quartiere ex-novo lungo una strada lunghissima e perfettamente diritta come una freccia. Certo il paese vero e proprio dista una diecina di chilometri e rimane la sensazione di un progetto mancato, visto che alla fine non furono costruite che una ventina di case popolari, tutte da un solo lato della strada e ormai in vistoso declino, praticamente in mezzo ad una sperduta campagna, sul colmo di un altopiano battuto dal vento. Nei tempi recenti vi hanno trovato posto un po’ di migranti, qualche zingaro, qualche famiglia di oriundi. Ora condividono un po’ di quell’immenso spazio verde con una nuova serie di casupole di legno prefabbricate, sorte sempre sullo stesso lato, esito del recente terremoto. Ci vivono alcune famiglie del paese vero e proprio, che hanno avuto le abitazioni danneggiate. La chiesetta, in fondo al rettilineo vuoto, ha il campanile smozzicato dal sisma e la sua campana è agganciata ad una impalcatura di tubi innocenti sul lato della chiesa. Volendo si potrebbe suonare con una mano. Chiesa, campanile e impalcatura rimangono dallo stesso lato delle case.

Sull’altro lato si eleva in effetti una sola costruzione, proprio in fondo, proprio di fronte alla chiesa, proprio prima che ricominci, proseguendo la strada, in discesa e tutta curve, il vuoto dei campi e dei boschi, senza più nessuna simulazione di spazio abitato. D’altronde da questo lato non c’è niente, né prima né dopo. Solo questa casa fascista, di pietra viva e ben fatta, solida, squadrata, con quattro pini davanti. In essa vi albergano persone smarrite, accudite come meglio san fare le persone dei nostri paraggi. Mangiano, bevono, fumano, cantano e ridono, mentre annegano nella loro immensa solitudine. Talvolta vanno anche a ballare, in quella famosa località turistica a portata di mano.
Tutto sommato vivono in un posto incantevole, dove si può aspettare di fronte il sorgere della luna piena insieme agli amici malati, oppure, volgendosi dal proprio lato, quello dove non ci vive nessuna famiglia normale, vedere il sole che scende ogni giorno, solitario, dentro l’imbrunire.


 
                       
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