Soror

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La serie è stata dipinta nell'autunno del 2014. Sono acrilici su cartoncino da 400 g. mq; misurano cm 100x70.
 
   

Soror. Il loro nome suggerisce un rapporto di tipo fraterno, anzi, di sorellanza. Questa scelta dovrebbe escludere, almeno in linea di principio, facili implicazioni sessuali. Eppure l’esposizione del corpo è palesemente esplicita, eccessiva, persino disturbante. L’utilizzo del termine Soror si prefigge di provocare quindi almeno un minimo dubbio. A cosa può alludere il corpo esposto, svelato oltre il limite del pudore, e reso ancora più “cosa” dall’assenza programmatica di qualsiasi riferimento alla persona, alla maschera, al volto? A cos’altro se non alla sessualità più brutale ed esplicita?

 
   

Qui il corpo sembra non essere altro che materia primitiva, ordinamento di cellule in pieghe sinuose, dove l’unica identità certa è semplicemente il femmineo, la corporeità femminile. Ma c’è un altro elemento essenziale che viene subito a imporsi. È il colore, poiché ogni corpo è sostanzialmente monocromo, posto su uno sfondo uniforme a contrasto. Si delinea pertanto un intento preciso: quello di rappresentare la forma in purezza, come se ogni figura fosse composta di una sola materia unitaria, per esempio di marmo, oppure di legno, o di oro. Alcuni corpi suggerirebbero di essere fatti persino di aria, o di nebbia, a vedere il colore.

 
   

Come se un occasionale materiale fluente si fosse casualmente aggregato in forma umana e femminea, descrivendone le curve e gli anfratti riposti. L’ultima evidenza è data proprio dalle forme. Si tratta senz’altro di corpi, ma appare palese la scelta di disporli nello spazio in una forma coesa, stilisticamente cogente, come se il rettangolo in cui sono rinchiusi fosse uno spazio astratto, suddiviso da linee misurate e precise.

 
   

Raramente appaiono interi, molto spesso solo in grandi frammenti, con misure assai superiori alle proporzioni reali. Ancora una volta, i corpi si impongono come soggetti casuali, slegati da ciò che potrebbero rappresentare dell’esperienza reale.
Ma cosa sarebbero allora, se non mere copie di corpi?

 
   

Essi si affermano in primo luogo come dipinti, composizioni cromatiche, regolati da principi rigorosi e persino solenni, come a staccarsi da ogni possibile riferimento alla realtà più cruda e sensuale. Questi dipinti sono cosmos, ordinamenti prescritti, strutture costruite su severe regole armoniche.

 
   

Ciò che viene illustrato è in effetti un processo di trasformazione: la trasmutazione della materia stessa in idee. Seguiamo il percorso. Il corpo femminile, mercificato in forma di miliardi di immagini disperse nella rete di internet, viene da essa sottratto al suo oscuro destino, pura preda d’inconscio.

 
    Viene poi sottoposto ad una specie di processo di assunzione celeste, trasferito, con il potere dell’arte, nella dimensione della bellezza, dove le stesse immagini, però trasmutate, divengono inutilizzabili per gli scopi per cui furono concepite. Esse si fanno, al contrario, portavoce di un ordine ineffabile, fino ad ergersi come rappresentazioni sottili dei bisogni immateriali dell’anima umana.  
    Rinascono in tal modo le antiche Dee della Terra, come Materia, Madre, Memoria, ordinate in modelli dalle forme essenziali, riferimenti comuni dell’intero universo, per richiamarci al senso profondo e necessario della bellezza, dell’armonia, della luce e dell’equilibrio.  
   

Sono figure deiformi, emanate da una umanità apparentemente reietta e abbandonata, schiava degli utilizzi più inconsci e bestiali. Questa umanità di risulta ci grida e reclama, per intercessione di alcune tra le loro tante e più naturali incarnazioni, al fine di assurgere, con esse, ad una qualsiasi delle forme eterne e intangibili della coscienza del cosmo.
Con tali immagini si enuncia il principio che ciò che è corporeo è anche psichico, e che in taluni casi il fine della materia è l’assunzione nello psichico.


 
    Per concludere, un confronto necessario con la serie precedente delle Rughe, laddove il procedimento era sostanzialmente invertito. Lì si trattava della rappresentazione esclusiva di volti (proprio ciò che qui manca), e per giunta maschili. Su di essi apparivano, in forma di rughe, le tracce incise della vita passata, rendendo la persona, con la sua maschera, solcata da convinzioni tenaci, errori e vicende, unica e irripetibile.  
    Lì erano stati il tormento interiore, lo Spirito raziocinante, i pensieri di una vita, per quanto intangibili, a divenire con le rughe materia vivente, carne sofferta e parlante. Nelle Soror, invece, è la stessa sofferente materia che si trasforma in immagine incorporea, pura forma, strutture bi-cromatiche, in linee di forza centrifuga verso l’infinito (e oltre).
È l’Anima stessa, che si dispiega in forma di luce, di energie cosmiche senza confini.
 
    Sono, le Rughe e le Soror, esempi di due movimenti energetici caratteristici della psiche umana, connubio incessante e mai definitivo di spinte contrastanti e sempre compresenti, che solo per convenzione simbolica possiamo definire la via dell’unione tra femminile e maschile, terra e cielo, Anima e Spirito, e così via dicendo. Al centro, restiamo sempre noi stessi, vittime sospese nel dubbio imponderabile, su se e fin quando, vivere il mondo e la vita col corpo, o solamente nei sogni.