indice Re e Regina Re e Regina n.10

Alcune note.
 

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Le regole del gioco.

Per quanto mi riguarda, la serie di “Re e Regina”, avrebbe potuto concludersi con l’immagine n. 9, che rappresenta l’avvento di una nuova infanzia. Mi sembrava che questa intuizione potesse già ripagarmi del lungo tempo che avevo dedicato ad entrare nelle tematiche alchemiche, fino a poco prima sfiorate casualmente o nei riferimenti junghiani contenuti negli scritti di James Hillman.  Ma la lettura di un libro come “Psicologia e Alchimia, dello stesso Jung, mi aveva dischiuso un mondo immaginifico così potente e liberatorio, da convincermi che fosse a portata di mano l’occasione per  rappresentare, in forma di compendio, l’intero ciclo della trasformazione alchemica in una forma meno “moderna” e più rispettosa del materiale iconografico tradizionale.

Proverò pertanto a descrivere il quadro che ne è scaturito, immaginato prendendo spunto da una straordinaria incisione citata nel libro di Jung come proveniente dal libro “Alchymia” di Andreas Libavius, pubblicato nell’anno 1606.



La materia prima, punto di partenza del processo alchemico, si distende in forma di orizzonte terrestre alla base del quadro. Essa contiene già, più o meno celati, quei bagliori dorati di perfezione che, a saperli vedere, giacciono ovunque a portata di mano (la Pietra Filosofale è vile, sempre e dappertutto), frammisti alla nuda terra. Questa è la  condizione della Nigredo, che dovrà essere attraversata molte e molte volte prima di essere finalmente superata, sotto la stretta sorveglianza di uno dei suoi simboli viventi, il nero corvo.
Al di sopra, poiché le fasi si susseguono elevandosi verso una sempre maggiore spiritualizzazione, troviamo un elemento liquido, che da una apparente trasparenza si aggrega in forma di fluido grigiastro, a rappresentare il mercurio, l’argento vivo, la cenere disciolta che lascia intravedere già i colori cangianti della cauda pavonis. È il segno che l’opera progredisce.

 

 

Perché il processo si inneschi, è tuttavia necessario un sacrificio solenne, una dedizione definitiva, rappresentata dal leone rosso (simbolo della stessa forza vitale, del cuore pulsante) che viene mortalmente ferito al petto e che con il proprio sangue, copioso e incessante, vivifica il metallo fuso. Ad esso di fronte, l’aquila, simbolo femminile e modello di aderenza all’elemento aria, trascolora dal nero al bianco, procedendo alla successiva fase di maggiore sublimazione dell’albedo. Al centro, nel mezzo del lago mercuriale, una sfera nera, simbolo della materia prima allo stato di caos indistinto e per questo simbolo dell’unità indivisa, emerge sostenuta dalle sue piccole ali. Il processo è in atto.

 

 

 



Subito sopra, al centro, troviamo un altro degli elementi essenziali della ricerca alchemica, l’athanor, il forno in cui viene appiccato e curato il fuoco mediante il quale vengono trasformati gli elementi. Essi sono contenuti nel vaso alchemico, una bolla di vetro sferica, che richiama il cranio tondeggiante dell’artifex, l’alchimista, luogo fisico in cui avvengono le trasformazioni del suo stesso sapere. L’athanor, il forno, si trova collocato in un giardino quadrato, il themenos, il recinto, simbolo della definizione incessante dei limiti, tema anch’esso frequente in questo ambito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ai lati emergono le due figure essenziali, quelle del Re e della Regina, stavolta rappresentati in una forma abbastanza tradizionale. Il Re è ammantato da un abito intessuto d’oro e, pur nella sua autorevolezza, rappresentata dalla corona e dallo scettro, non esibisce forza o potere smodati, quanto profonde spiritualità e consapevolezza. Sostiene in una mano il sole, come simbolo tradizionale dell’elemento maschile e come forza primigenia della vita e della divinità. Gli fa da contraltare la Regina, a sua volta drappeggiata d’azzurro, colore simbolo dell’elemento aria, spirituale, ma in quanto legata alla terra come figura femminile, mostra la generosità delle forme proprie di chi dà la vita e la rinnova. Sorregge con una mano la luna, rivolta al sole e imbevuta della sua grazia. Nell’altra solleva un ramo di rosa canina, simbolo della pietra filosofale. Tra i due, sospeso nella sfera di vetro, soffuso nei fumi cangianti illuminati da un arcobaleno che si staglia sull’orizzonte, si scorge una figura umana, femminile e maschile, l’anthropos dei filosofi, l’androgino, il mercurio vivente.


Al di sopra di questa composizione, al di là del sole e della luna, l’elemento più spirituale di tutti, il fuoco, dardeggia nel cielo. Tra le fiamme si contorce l’Ouroboros, il  drago che morde sé stesso, simbolo arcaico della ciclicità del tempo e della necessità del sacrificio per ogni nuovo inizio. Oltre ancora, al di sopra delle fiamme, un altro simbolo di rinascita, la Fenice, che come la Prima Materia mille  volte mortificata, rinasce a nuova vita in una sempre rinnovata perfezione. Nella luce dell’aurora, nove colombe volano nel cielo, testimonianza del rinnovamento avvenuto.

 

 

 

 

 

 



Mi piace precisare che la composizione di vari simboli in questa determinata sequenza è stata realizzata senza alcun rigore semantico o culturale. Il loro insieme suggerisce un puro e semplice esercizio dell’immaginazione (moderna) sulla base di ciò che una grande tradizione creativa e speculativa della fantasia umana, l’alchimia, ha generato, trasformato e tramandato per secoli, intrecciandosi con la stessa storia del genere umano. È un campo sterminato, maestoso, pari forse solo alla mitologia e alle religioni, con le quali tanti simboli e figure condivide. È stato un privilegio avervi potuto accedere per qualche verso, anche solo per arrivare a narrare una piccola storia, colorata e giocosa.

 


Dicembre 2012, Michele Gammieri


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